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Incidenza e predittori clinici di trombosi precoce dello stent in pazienti con sindrome coronarica acuta


La sindrome coronarica acuta è associata ad attivazione delle piastrine e del sistema di coagulazione e ciò potrebbe influenzare l'incidenza di trombosi precoce dello stent.

È stato condotto uno studio allo scopo di determinare l'incidenza e i predittori di trombosi precoce dello stent in pazienti che si devono sottoporre a posizionamento di stent coronarico nel corso di sindrome coronarica acuta.

Lo studio ha coinvolto 1.202 pazienti da un sondaggio sulla sindrome coronarica acuta sottoposti a posizionamento di stent coronarico durante sindrome coronarica acuta.

Il periodo osservazionale è stato di 30 giorni.

La trombosi precoce dello stent è stata definita in base ai parametri del Academic Research Consortium.

Il 2.5% ( n=30 ) dei pazienti è andato incontro a trombosi precoce dello stent.

La manifestazione di questa trombosi in pazienti con angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST ( NSTEMI ) e con infarto del miocardio con sopraslivellamento del tratto ST ( STEMI ) è stata, rispettivamente, pari a 0.9% e 3.9% ( P minore di 0.05 ), ed è risultata anche più alta ( 5.2% ) nei pazienti con infarto STEMI sottoposti a intervento coronarico percutaneo ( PCI ) primario.

All'analisi multivariata, l’infarto STEMI ( odds ratio, OR=6.3, P=0.0008 ), malattia multivasale ( OR=5.9, P=0.003 ) e classe Killip maggiore o uguale a 2 ( OR=2.9, P=0.008 ) sono risultate correlate in maniera indipendente a trombosi precoce dello stent.

L'utilizzo di stent di metallo nudo versus stent medicati non è invece risultato correlato ad alcuna differenza significativa nella trombosi precoce dello stent.

In conclusione, i pazienti con infarto STEMI, instabili dal punto di vista emodinamico e con coronaropatia multivasale, sottoposti a posizionamento di stent durante sindrome coronarica acuta presentano un maggior rischio di andare incontro a trombosi precoce dello stent. ( Xagena2010 )

Beinart R et al, Am Heart J 2010; 159: 118-124



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